Il Gobbo

Chiesa di Maria SS. Assunta in Cielo

Le informazioni che abbiamo ad oggi sulla Chiesa parrocchiale di Montegabbione si possono trovare nelle varie pubblicazioni che sono uscite negli ultimi venti anni:
- Gruppo giovanile di Montegabbione, Montegabbione .Ieri, 1981 (Carlo Andreoli, Corrado Rossi, Giuseppe Saravalle)
- Pro Loco Montegabbione - Montegabbione, 2000 (Con aggiornamenti di Carlo Andreoli)

Del Biscarini Nazareno un progetto della nuova chiesa parrocchiale eretta in Monte Gabbione; del Biscarini Francesco e dell'Angeletti altri pregevoli lavori di decorazione [Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia. anno 1887, numero 111, pagina 1891].

Firme di Biscarini e Angeletti presenti in un laterizio della colonna a destra del portone d'ingresso della Chiesa.

Riporto in seguito il primo testo pubblicato per fare un punto della situazione:

"La chiesa di Maria SS.Assunta in Cielo è l'attuale chiesa parrocchiale di Montegabbione. La prima pietra fu posta il 29 giugno 1873 da Mons. Antonio Briganti Vescovo di Orvieto ed i lavori vennero affidati all'arch. Nazzareno Biscarini [1] di Perugia. Essa sorge in prosecuzione dell'antica cappella circolare e dell'annessa torre campanaria (forse un tempo facente parte del complesso del castello), ambedue in pietra viva, ed in parte poggia sull'antico cimitero (che è stato portato fuori le mura nel 1864). Alla fabbrica della chiesa contribuirono tutti i montegabbionesi, sia trasportando a braccia, ogni domenica, gran parte delle pietre occorrenti, sia versando-complessivamente in sei anni circa lire 2.500. Sul "Corriere dell'Umbria" nel 1874 apparve anche una polemica tra Celestino Lemmi, che osteggiava la "fabbrica" (benché suo padre Costanzo fosse stato Presidente della commissione edificatrice) ed il sindaco Giovanni Duranti. Il pievano Luigi Galli la annotava nel suo diario del giugno 1874. Altre eco si ebbero su "La Frusta", giornale politico morale dell'epoca. L'inaugurazione avvenne il I Ottobre 1876: bella e maestosa, in svelta architettura di stile bizantino, ornata di stucchi e di graziosi lavori in plastica di terracotta eseguiti con gusto squisito e raffinata precisione dagli artisti perugini Francesco Biscarìni e Raffaele Angeletti, si presenta grave e severa nella facciata anch'essa ornata in terracotta. All'interno vi sono tre altari, con mensa di pietra, in terracotta: l'altare maggiore, dedicato a Maria S.s.ma Assunta in cielo; l'altare di S. Giuseppe, patrono del comune di Montegabbione e l'altare di Maria S.s.ma. La manutenzione del primo spettava al parroco, quella del secondo al Comune e quello dei terzo alla Confraternita. In fondo alla chiesa v'è la cantoria, sopraelevata, con un organo a mantice, opera di Nicomede Agati di Pistoia che costò a quel tempo circa 1.500 Lire. Attigua alla chiesa parrocchiale vi sono la cappella ddel SS.mo Sacramento (già dedicata alla S. Rita) e la sacrestia. Accanto alla chiesa v'è attualmente un campanile in struttura di cemento, costruito negli anni cinquanta, in sostituzione dei vecchio completamente degradato e rivestito nel 1998 in mattoni simili a quelli della facciata della Chiesa."
Gruppo giovanile di Montegabbione, Montegabbione Ieri, 1981

Leggendo Cronache di Paese (numero di marzo aprile 1973), un giornale pubblicato negli anni settanta a Montegabbione, è possibile ritrovare un riferimento al Corriere dell'Umbria datato 2 giugno 1874. Qui Celeste Lemmi, uno dei cittadini "nobili" di Montegabbione, scagliava le sue polemiche contro il sindaco e la giunta comunale colpevole, a dir suo, di inutili spese per la costruzione della nuova chiesa parrocchiale. Senza anticipare altro rimando alla lettura della lettera scaricabile dal link sottostante.

--> Celeste Lemmi - 2 giugno 1874

Alcuni giorni dopo, il 12 giugno 1874, nel Corriere dell'Umbia viene pubblicata la lettera di risposta di Giovanni Duranti, l'allora sindaco.

--> Giovanni Duranti - 12 giugno 1874

E' interessante leggere queste due lettere per capire quella che era la situazione politica ed economica del paese in quegli anni. Sono numerosi gli spunti forniti e sarà ineressante approfondirli in futuro.

In occasione della IV rassegna dell'economia e della cultura a Montegabbione - 14/21 agosto 1989 - venne pubblicato un opuscolo di sei pagine con alcune notizie aggiuntive riguardanti la Chiesa parrocchiale. In quello stesso anno venne acquistato l'organo che ancora viene suonato in tutte le ocasioni. Dalla lettura emergono alcune informazioni aggiuntive tra cui la premiazione del pulpito con medaglia di argento all'esposizione umbra del 1879. E' interssante vedere alcune parti del progetto e in futuro, se possibile, riporterò l'intero progetto della nostra chiesa.
Nei link sottostanti è possibile scaricale l'opuscolo del 1989 ed un articolo pubblicato nel Giornale dell'Esposizione provinciale umbra in data 28 settembre 1879.

--> Opuscolo 1989
--> Giornale dell'Esposizione provinciale umbra - 28 settembre 1879

Di seguito nella pagina una carrellata di cartoline e foto della Chiesa. Analizzandole si può notare come, mentre la facciata è rimasta sempre la stessa, il campanile è stato modificato numerose volte; costruito con pietra viva rimase di tale aspetto sicuramente non oltre il 1931, come è possibile notare nella terza cartolina, viaggiata nel 1931, in cui il campanile risulta intonacato. Venne poi abbattuto e ricostruito negli anni '50.

Tra una chiacchierata e l'altra con mio zio è emersa una bellissima testimonianza da approfondire. Per ora riporto questa prima parte:

"Quanno buttassima giù il campanile della chiesa eravamo io (Piselli Vittorio), Lallo (Franco Stella) e Mariano Pornelli. Il campanile era murato bene, a parte un angolo, e non si sa quanto ci mettissima a buttarlo giù tutto. Ce volle più a levallo che fallo. I sassi erano murati con calce e sabbia di Faiolo... più dura del cemento. Utilizzassima il piccone per smurallo. Salivamo da dentro e fori non c'erano le impalcature. Le sasse, dopo averle smurate, le buttassima tutte giù per dentro il campanile e poi le caricavamo con la carretta sul camion. Le campane le avevano già levate. Quanno dovemmo levare l'orologio lo legassima ad una corda fissata con la carrucula. Spiccassima l'orologio dopo avello fissato alla corda. Al momento di tirarlo giù se non c'erano due che ce aiutassero, o lo lasciassima o annissima su noi! Erano Pasquini Silvano e l'appuntato dei carabinieri Giovanni, ma adesso non mi ricordo il cognome. Pe fortuna loro!"

Va notato come nella foto con il campanile ci sia l'orologio differente da quello da quello delle foto successive. Guardando attentamente la seconda cartolina si può notare come l'orologio non sia in asse rispetto al campanile (secondo me ciò è dovuto ad un ritocco effettuato sulla foto, comunemente in uso in questo periodo). Qualche anno fa un ragazzo (di cui ad ora non conosco il nome) fece una una ricerca sugli orologi umbri soffermandosi anche su quello di Montegabbione. Sarebbe interessante poter leggere il suo lavoro per avere maggiori dettagli a riguardo.

Un particolare interessante è la notevole diminuzione del rosone sopra il portone di ingresso. Guardando attentamente la cartolina n.4 si può notare come ci sia un alone chiaro intorno al rosone e come questo abbia un diametro più piccolo rispetto a quello delle cartoline precedenti. Il motivo per cui il rosone sia stato modificato ad ora lo ignoro.

Cliccando nelle foto puoi aprire una presentazione in cui sotto ad alcune immagini troverai una breve descrizione.



Il Miracolo italiano.

Un'Italia stravolta dalla seconda guerra mondiale, prevalentemente agricola, assoggettata alla mezzadria, arretrata e provinciale, nell'arco di pochi decenni ha vissuto una trasformazione radicale del suo tessuto sociale, economico e culturale da avere altri pochi riscontri nella storia del dopoguerra europeo. Senza entrare nel dettaglio nell'argomento (che potremmo fare in un secondo momento) verrei proporre una delle metarmorfosi urbanistiche che Montegabbione ha subito in questo periodo. Negli anni in cui le famiglie contadine buttarono i loro letti in ferro battuto per acquistare spalliere di lamiera decorate (i famosi letti di bandone), negli anni in cui cambiarono i loro mobili in legno massello con mobili di compensato o poco più cos'era che li spingeva a fare questo? Era la voglia di nuovo, il desiderio di buttare il passato alle spalle. Fu in questo periodo che l'urbanistica medievale montegabbionese, scampata praticamente incolume alle devastazioni della seconda guerra mondiale, subì le maggiori perdite. Tra le vittime più gravi il primo posto lo assegnerei sicuramente alla nostra piazza. Dopo il 1874 (anno di ammodernamento della chiesa parrocchiale) ci fu una nuova radicale trasformazione. Piccole casette un po' rimediate, con finestre e scalinate, furono demolite e al loro posto il nuovo calcestruzzo soppiantò l'ormai vecchia pietra. E' così che Montegabbione perse una parte del suo antico essere... La trasformazione deve andare avanti, il progresso incalzare i tempi ed il nostro passato si racconta in alcune foto e in qualche labile ricordo. Chissà se fra cento anni i nostri nipoti ripercorreranno la storia di quel vecchio palazzo anni '60 che ora guarda la nostra chiesa magari in ricordo di un'architettura passata.

Nelle foto sottostanti alcune fasi della costruzione della banca.

Ma cosa c'era nella piazza del paese prima che venne edificata l'attuale palazzo della banca. Le foto sotto presentate ripropongono due bellissimi scorci di quella parte di Montegabbione che ormai non c'è più. La prima foto è datatabile intorno agli anni '20, la seconda è databile intorno agli anni '30 (manifestazione ginnica fascista degli scolari montegabbionesi - 24 maggio).

Facciamo un passo indietro e ricolleghiamoci al lavoro consultabile in Montegabbione.net. Il 16 giugnio 1944 anche Montegabbione ebbe la sua guerra. Durante il passaggio del fronte, mentre i carroarmati inglesi dai dintorni di Scatolla bombardavano Montegabbione, anche la chiesa subì un lieve danno. Venne danneggiata una campana tant'è che la popolazione chiese la sostituzione al Vaticano. Sono riportati nel seguito il testo della richiesta fatta dal comune di Montegabbione ed una riproduzione del documento datato dicembre 1949:

Durante il passaggio del fronte avvenuto in questo Comune nei giorni 15 16 Giugno /1944, fu colpita da scheggia di artiglieria la Campana Maggiore della Chiesa Parrocchiale di Montegabbione, riportando una grande incrinatura che ne altera il suono.
Il peso della campana è di Kg. 500
Tutto il materiale è recuperabile.

Clicca per ingrandire il documento

La campana venne poi sostituita o riparata ma comunque è interessante guardare le due foto sotto riprodotte, gentilmente concesse da Roberto Urbani. Come si può notare in entrambe dietro la moto, di fianco alla parete della chiesa c'è il supporto meccanico che è servito per calare dal campanile la campana danneggiata. Nella seconda foto si distingue chiaramente la campana all'interno della struttura.

"Attuale chiesa parrocchiale di Montegabbione, è stata inaugura nel 1876: essa sorge in prosecuzione dell'antica cappella circolare castellana, in pietra viva, attualmente adibita a cappella del SS. Sacramento, e dell'annessa torre campanaria. In parte la chiesa poggia sull'antico cimitero, che venne portato fuori le mura nel 1864. Alla fabbrica della chiesa contribuirono tutti gli abitanti: sia trasportando a braccia ogni domenica gran parte delle pietre occorrenti, sia versando il proprio contributo che fu realizzato in sei anni. Fu costruita nel triennio 1873-1876, su progetto degl'architetti perugini Francesco Biscarini e Raffaele Angeletti [1]. La chiesa, a tre navate, si eleva sulla sommità della collina di Montegabbione, bella e maestosa, grave e severa nella facciata, con la sua agile architettura in stile bizantino; è tutta ornata di preziosi lavori plastici in terracotta, eseguiti con gusto squisito e raffinata precisione. Le venti finestre, tra bifore e rotonde, recavano all'origine tutte le vetrate colorate collegate in piombo. Allo stato attuale alcune di esse, irreparabilmente deteriorate dalla guerra e dal tempo, sono state sostituite [2]. L'annesso campanile è stato realizzato in cotto nel 1998, con il contributo di tutta la popolazione, seguendo il disegno originale ottocentesco che non era mai stato posto in opera, forse per mancanza di fondi. All'interno della chiesa vi sono tre altari, con mensa di pietra, in terracotta: l'altare maggiore, ove svetta un crocifisso a dimensioni naturali, è dedicato all'Assunta; l'altare di sinistra è sovrastato da un dipinto su tela raffigurante La crocifissione di Gesù . Nel quadro, ai piedi della Croce, dove la tradizione vorrebbe la Madre e Giovanni, l'ignoto autore pone tre personaggi cari alla pietà popolare del tempo (XVII o XVIII secolo?): San Giuseppe, padre putativo di Gesù, invocato come patrono dei moribondi (a Montegabbione c'era la Confraternita della Buona Morte [3]); poi San Francesco d'Assisi poiché grande fu l'influsso francescano su queste terre; infine San Biagio, vescovo e martire del IV secolo, invocato come protettore in caso di mal di gola. San Biagio tiene in mano il simbolo del suo martirio: una spazzola di ferro acuminata, simile a quella usata per cardare la lana. Nel dipinto, mentre il padre putativo assiste il figlio nel trapasso, il Poverello abbraccia "sorella morte" e Biagio sembra cogliere un messaggio di salvezza. Dal punto di vista pittorico il quadro ricorda la scuola umbro-toscana, sia per la composizione d'insieme che per alcuni tratti, volti e panneggi piuttosto morbidi, non scolpiti. Ovviamente l'altare dove è posto il quadro è dedicato a San Giuseppe, patrono del Comune. In fase di restauro si è però scoperto che sotto la figura di San Biagio si nasconde in realtà l'immagine di un cardinale, probabilmente San Carlo Borromeo, mentre sotto la figura di San Giuseppe si cela l'immagine di San Pietro, infatti risulta strana nell'iconografia classica vedere un San Giuseppe con in mano un libro, caratteristica invece dei dottori della chiesa come San Pietro appunto. Inoltre quest'ultimo avrebbe dovuto tenere in mano le chiavi al posto del giglio iconografia classica di San Giuseppe. San Pietro e San Carlo Borromeo sono i soggetti del tipico quadro della controriforma, il movimento interno alla chiesa cattolica avviato dal Concilio di Trento (1545-63) per contrastare lo sviluppo delle dottrine protestanti. Evidentemente ai cittadini di Montegabbione non deve essere piaciuto molto il soggetto di questo quadro ed una mano anonima ha sostituito il cardinale e San Pietro con San Biagio e San Giuseppe. L'altare di destra, dedicato al sacro Cuore è sovrastato dal dipinto della Madonna del Rosario con San Domenico e Santa Caterina da Siena e i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi. L'invenzione del Rosario venne attribuita a San Domenico (1170-1221) dai primi storici dell'Ordine. Nel quadro il Santo è genuflesso di fronte alla Vergine in trono con in braccio il Bambino e riceve dalle mani di quest'ultimo un Rosario; nella mano destra tiene il giglio, simbolo di verginità, ed il libro delle sue regole. Dall'altra parte Santa Caterina da Siena con il giglio e la croce, simboli di purezza e sofferenza. Di speciale pregio artistico è il pulpito, sopraelevato nella navata destra, vero gioiello in cotto, in stile gotico rinascimentale, premiato con medaglia d'argento all'esposizione umbra del 1879. In fondo alla chiesa v'è l'antica cantoria, soprelevata, con un organo a mantice, opera di Nicomede Agati di Pistoia [4], realizzato nel 1863 e recentemente restaurato. Ricavata nell'ampia ex sacrestia, la sala Santa Rita, utilizzata per le riunioni ecclesiali, ospita alcuni dipinti: un olio su tela raffigurante Santa Rita, realizzato intorno al 1950 dalla pittrice E. Lommi; un olio su tela raffigurante gli apostoli Filippo e Giacomo, di autore ignoto, risalente al 1600-1700; un olio su tela raffigurante l'evangelista Luca, di autore ignoto, risalente al 1700; un olio su tela raffigurante la Madonna in trono con angeli, San Lorenzo e San Sebastiano, di autore ignoto, risalente al 1600; un olio su tela raffigurante la Madonna del rosario con San Domenico e Santa Caterina da Siena, di autore ignoto, risalente al 1600; un olio su tela raffigurante San Filippo Neri, risalente al 1700, riproduzione di un quadro noto [5]. Nel centoventicinquesimo anniversario della fondazione di questa chiesa il Cav. Lodovico Vergari lo fece restaurare ".quale atto di ringraziamento al signore e munificio dono al Vescovo di Orvieto-Todi Lucio Grandoni al parroco Giovanni Ermini e a tutto il popolo di Montegabbione. Ottobre 2001" [6]."
[Luana Mencarelli, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Perugia: Ecomuseo, il museo del futuro. Un percorso attraverso le chiese rurali del Comune di Montegabbione (TR) , anno accademico 2008/2009]

1. I laterizi in forma di terrecotte architettoniche trovarono impiego come elementi decorativi soprattutto nell'architettura francese dell'Ottocento (parigina in particolare) quando si cominciarono a rivestire di terrecotte smaltate i cortili interni e le cucine dei palazzi. Precursore in Italia della produzione di terrecotte architettoniche fu Andrea Boni che nel 1850 avviò un laboratorio a Milano. Nella seconda metà dell'Ottocento anche in Umbria si attivarono alcuni laboratori artistici per la produzione di terrecotte architettoniche e monumentali. Nel 1858 a Perugia è attivo Raffaele Angeletti, che più tardi si associa a Francesco Biscarini, dando vita ad una consistente produzione di terrecotte architettoniche e plastiche presenti anche all'esposizione parigina nel 1878.  
2. Montegabbione, in Provincia di Terni . A cura di, Associazione Pro Loco di Montegabbione, 2000.
3. Confraternita della Buona Morte. Uomini di ogni ceto, religiosi ma anche laici. Fondata dal sacerdote durantino Giulio Timotei è una delle otto confraternite che contribuivano al buon governo di Urbania, come la Compagnia della Misericordia e la Confraternita del Buon Gesù. 11 giugno 1567: prima riunione dei confratelli, dodici come gli apostoli. San Giovanni decollato è il loro patrono. Lo stesso giorno è anche occasione per promulgare lo statuto, che il cardinale Giulio Feltrio Della Rovere (fratello del duca Guidobaldo II) sanziona l'11 aprile 1571. Così comincia la vita della Confraternita. I fratelli trasportano gratuitamente i cadaveri, assistono moribondi e condannati a morte, visitano ogni settimana ammalati e carcerati e distribuiscono elemosine ai poveri. Un'opera sociale importante, non menzionata negli statuti ma documentata da atti ufficiali d'archivio, è la distribuzione del seme di grano ai contadini rimasti senza riserve. Ma è l'organizzazione dei funerali l'attività che li consacra alla storia. Funerali carichi di suggestione per noi che ne leggiamo i dettagli oggi, dopo più di due secoli, su documenti dell'epoca. Immaginiamo la folla riunita in chiesa per dare l'ultimo saluto a un concittadino. Il corpo arriva in una sorta di processione, trasportato dai confratelli. Lo adagiavano su una "scaletta", una tavola di legno. E il corpo, avvolto in un sudario, arriva coperto da teli neri con simboli della morte. I confratelli indossavano il rocchetto, la veste ecclesiastica di lino bianco, sormontato da un mantello nero su cui spiccava una placca di rame argentato sbalzata con il teschio e le tibie incrociate. Prima di uscire si calavano il cappuccio sul volto. Un modo di vestire che valse loro l'appellativo di "guercini": per non cadere erano costretti a guardare in tralice, attraverso i fori del cappuccio. Il priore portava una mazza lignea scolpita ed era preceduto da uno stendardo di raso nero. In filo d'argento era damascata la, che il popolo chiamava "La Lucia". La morte porta una corona, "perché è la vera regina dell'umanità". Accanto a lei una serie di simboli: la falce che taglia la vita, la clessidra che ricorda quanto scorre veloce il tempo e le fiaccole della vita, rovesciate perché la vita si è spenta. Il manoscritto degli statuti originali del 1567 è conservato nell'archivio della Curia Vescovile di Urbania. È rilegato in cuoio e consta di 19 carte recto-verso con filigrana (stemma della famiglie senese Piccolomini, croce caricata da cinque lune), di dimensione 27,5 x 20,5 cm. Alla carta 9 si legge l'approvazione autentica di Giulio Feltrio Della Rovere con il sigillo personale. Dalla carta 10 ci sono i "Nomi delli Fratelli della Morte".
4. Nicomede Agati di Pistoia con i suoi fratelli seppe sviluppare in maniera protoindustriale un'attività artigianale di altissimo livello avviata dal Pietro Agati (1735-1806). Gli Agati si distinsero per la straordinaria qualità dei materiali impiegati e per la lavorazione, raggiungendo altresì affascinanti risultati nel campo dell'intonazione.
5. Il più famoso San Filippo Neri di Guido Reni.
6. Epitaffio della lastra di marmo in ricordo di tale opera di restauro, posta in alto a destra appena l'ingresso della Chiesa.



[1] Nazareno Biscarini nasce a Perugia nel 1835. Studia all'Accademia di belle arti dove diviene allievo di Giovanni Santini e compagno di studi di Guglielmo Calderini. Intorno al 1870 frequenta il salotto culturale di Maria Gallenga-Stuart, in cui si ritrovano artisti italiani e stranieri. Dal 1884 inizia la sua carriera di docente in Accademia, anche se poi entrerà in grossa polemica con l'Istituto. Architetto e ingegnere di professione, progetta per Perugia e provincia numerose chiese, monumenti e cappelle sepolcrali, tra cui si segnala la cappella della Confraternita della misericordia. Nel 1880 è autore di un progetto di sistemazione della nuova sede dell'Accademia di belle arti presso l'ex convento di San Francesco al Prato e nel 1890 partecipa all'Esposizione nazionale di belle arti di Torino. Pregevoli sono le palazzine che fronteggiano l'ex piazza d'Armi a Perugia, che da lui prendono il nome, il Teatro comunale di Marsciano, le chiese parrocchiali, circa trenta, dove Biscarini tenta di riprodurre le forme romaniche, gotiche e rinascimentali (chiesa parrocchiale di Montegabbione, di San Martino in Campo e di Sant'Andrea a Perugia). Biscarini muore a Perugia nel 1907.
--> http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/pagina.pl
Nel 1865 gli scultori perugini Raffaele Angeletti e Francesco Biscarini fondarono a Perugia una fabbrica artistica di terrecotte famosa in molte parti d'Italia per la varietà e la raffinatezza delle sue opere che stimolarono l'artigianato locale, considerato arte minore, ad assurgere al livello di arte nobile.

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